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La V di Victory

Immagine del redattore: Bernadette CaponeBernadette Capone

L’indice ed il medio alzati a formare una V, segno o saluto tanto di moda oggi nei selfie da postare sui social network, ha radici molto antiche e significati disparati.

Una vecchia leggenda narra che i francesi avessero la consuetudine di tagliare le dita che gli arcieri inglesi usavano per far scoccare le frecce dall’arco in battaglia. Dunque, quando gli inglesi tornarono a vincere, furono soliti mettere in mostra le due dita in segno di sfida verso i rivali, beffeggiandoli per non essere riusciti a perpetrare ancora l’orribile mutilazione.

Nel corso dei secoli il significato è inevitabilmente cambiato, ma pochi lo conoscono realmente.

C’è da fare innanzitutto una distinzione. Se il dorso della mano è rivolto al destinatario, il messaggio che si vuol trasmettere è dispregiativo e, in tal senso, utilizzato in Australia, Nuova Zelanda, Sudafrica, Irlanda e Regno Unito.

Nel suo uso più diffuso, invece, con la palma rivolta all’ interlocutore, non può che ricondursi ad un significato di pace, di serenità, di Victory.

A portarlo alla ribalta del mondo, infatti, accompagnandolo col suo faccione appesantito e il sorriso a denti stretti dietro il sigaro penzolone, è stato quel personaggio carismatico che, con passo lento e mente lucida, ha sconfitto il nazismo e guidato l’Europa occidentale alla democrazia: Winston Churchill.

Winston era un tipo di poche parole, un bulldog dall’istinto feroce, un vero condottiero dallo sguardo arrabbiato che, per comunicare al mondo intero l’immensità della sua vittoria ha utilizzato un segno, un simbolo, no inutili discorsi, no memorabili soliloqui.

Il segno, a differenza delle parole, è sintetico, diretto, immediato e, soprattutto, eterno.

La cosa veramente importante è, prima di alzare le dita verso il cielo, conoscere il vero significato dei propri gesti e rispettarne le origini.

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